Siamo al termine di una lezione di teatro e, dopo l’ultima improvvisazione, saluto i bimbi dando loro appuntamento alla settimana seguente. Veronica (nome di fantasia) mi si avvicina e dice “ma come? È già finita la lezione? Che ore sono? Già le 19:30?”. Quel “già” mi disegna un gran sorriso sulla faccia.

 Le rispondo “si, sono le 19:35 per l’esattezza, abbiamo sforato di 5 minuti la lezione, forza prepariamoci ad uscire, i vostri genitori saranno fuori ad aspettarci”.

Il tempo è un concetto relativo, si sa.

Il tempo e la sua percezione sono legati alle nostre emozioni, alle circostanze in cui ci troviamo e al piacere che proviamo nel fare quello che stiamo facendo. Tutto merito della dopamina, ci dicono gli scienziati!

Mi allieta che Veronica abbia percepito due ore di lezione come se fossero state solo una manciata di minuti e i suoi occhioni grandi e pieni di entusiasmo mi hanno fatto pensare al termine greco “meraki” il cui significato è “l’amore con cui facciamo le cose”.

Una lezione di teatro non è solo gioco e divertimento, al contrario richiede molta disciplina, il teatro è un gioco a cui si gioca in un recinto di regole ben circoscritto, richiede energia fisica de emotiva. E se Veronica non ha avvertito la fatica non è perché non si è impegnata in quello che stava facendo ma perché ha vissuto il processo di apprendimento con gioia.

La “meraki” è dentro di noi e noi adulti, genitori ed educatori, abbiamo il compito di aiutare i piccoli a sperimentarla e a cercare cosa li rende felici, quali attività fa loro volare il tempo.

Credo che il teatro sia un’ottima attività di ricerca della “meraki”. Oltre il divertimento che si può sperimentare durante il laboratorio, divertimento e piacere che producono dopamina e fanno trascorrere più velocemente il tempo, il percorso laboratoriale è un percorso di connessione con sé stessi, uno strumento per indagare sulle proprie inclinazioni e desideri. L’educazione teatrale non è rincorsa da serrate programmazioni (certo, noi educatori abbiamo un programma fatto di attività e obiettivi) ma segue un percorso dettato dalle esigenze del gruppo. Le scalette delle lezioni e delle attività sono sottoposte a mutamenti e capovolgimenti. Il gruppo con le sue esigenze e motivazioni contribuisce a dettarne ritmi e deviazioni. Certo il programma e gli obiettivi rimangono ma il percorso per raggiungerli è flessibile e umanizzato. I tempi non sono ristretti ma dilatati e a misura di allievo, o almeno è quello che cerchiamo di fare.

E mi viene in mente il testo “Elogio dell’educazione lenta” di Joan Domènech Francesch: l’educazione richiede pazienza, lentezza e tranquillità. Il processo educativo deve essere un processo lento che miri non solo alla crescita di conoscenze e abilità ma alla crescita dell’individuo nella sua totalità, all’accrescimento delle competenze relazionali e intrapersonali. L’educazione richiede “un tempo senza tempo” in cui poter trasformare l’esperito e orientare percorsi e apprendimenti.

La “meraki” credo si possa raggiungere inseguendo la lentezza e la pazienza e attraverso la decelerazione trovare ciò che rende rapido il trascorrere del proprio tempo.