Quando il corpo si fa scena

Ci siamo. Il 12 e 13 Novembre, a Melfi, primo weekend di formazione in discipline teatrali del progetto “Net-Acting”. A partire dagli esercizi di biomeccanica di Mejerchol’d fino allo studio degli études di movimento scenico, il workshop condurrà i partecipanti in un percorso di sviluppo e consapevolezza del principale strumento espressivo dell’attore: il corpo.
D’altronde, lo stesso Mejerchol’d affermava che “Se eliminiamo la parola, il costume, il proscenio, le quinte, la sala, finchè rimane l’attore e i suoi movimenti, il teatro resta teatro”.
A condurre “Quando il corpo si fa scena” Mattia Di Pierro. Alto, magrissimo e biondissimo, sempre misurato nei gesti e nelle parole, E infatti è affettuosamente chiamato anche Mat, proprio per via di quell’aspetto e di quei suoi modo tanto english (non a caso il suo cavallo di battaglia sono alcuni monologhi di Shakespeare recitati in lingua originale!).
Lo conosciamo bene, noi dell’Albero, essendo Mattia praticamente cresciuto sotto i nostri rami. Dopo un’infanzia e un’adolescenza vissuti in una Scuola sull’Albero a dar sfogo alla sua creatività e alla sua fervida immaginazione, Mattia si trasferisce a Roma per formarsi professionalmente in una delle Accademie più prestigiose d’Italia: la Link Academy. E molto spesso torna in Basilicata per condividere il suo nuovo bagaglio di studi ed esperienze. E così, da quando è rientrato nell’Albero nella sua nuova veste di docente, è stato soprannominato semplicemente “il coach”.
Mattia, nonostante la sua giovane età, ha infatti uno stile di conduzione serrato: durante le sue sessioni di lavoro tutto è scandito al secondo, non esistono tempi dilatati. Gli esercizi si susseguono senza sosta, come le rotelle di in un ingranaggio in cui gli attori vengono praticamente risucchiati e da cui ne escono come nuovi (anche se un po’ acciaccati) solo a fine lezione.
E’ uno stakanovista, Mattia; lo era già da bambino. Ed è esigente. E poi è preciso e rigoroso, ma anche appassionato e generoso.
Quando gli abbiamo chiesto su cosa avrebbe voluto lavorare non ha avuto alcun dubbio. “Spesso siamo portati a dare per scontato il nostro corpo: il nostro mondo ci riempie di stimoli virtuali, cerebrali, che anestetizzano il nostro modo di sentire ciò che siamo. I nostri corpi diventano solo un mezzo di trasporto. In qualche modo siamo portati a dimenticare quelle capacità che il nostro corpo ha nel sentire e comunicare; diventiamo sciatti nell’agire e nel muoverci oppure ci blocchiamo, contraiamo i muscoli, annulliamo la nostra presenza. In tre anni di Accademia, posso dire che almeno una metà del lavoro è stata dedicata totalmente al corpo: movimento scenico, biomeccanica, acrobatica, thai-chi, stage-combact, teatrodanza, erano la base del nostro studio. Ricordo che quando sono entrato alla Link, avevo il vizio di tenere sempre due dita della mano chiuse, anche in posizione neutra. Così il mio insegnante, passandomi vicino, mi dava dei piccoli colpi sulla mano e mi diceva “Questo è un gesto inconsapevole che macchia il personaggio”. Dopo due settimane di lavoro con lui, il tic è sparito”.
D’altronde, fin dall’antichità gli attori lavoravano con il loro corpo: tragedie e commedie greche venivano rappresentate con vere e proprie coreografie, a ritmo della metrica delle parole e ogni forma di spettacolo fino all’Ottocento era accompagnata da danze e acrobazie. Lo stesso Stanislavskji negli ultimi anni di vita, cominciò a riflettere su quanto il corpo fosse importante nel lavoro della recitazione. Mejer’hold, partendo da questi principi, studiò il corpo dal punto vista meccanico ovvero osservò e analizzò le leve, i muscoli e le ossa e scompose i movimenti nelle loro parti più semplici così da poterli riprodurre in scena nel modo consapevole possibile.
Quasi contemporaneamente, all’Actors Studio, Eliah Kazan notava quanta forza acquistassero gli attori nel momento in cui manipolavano un oggetto: i loro movimenti diventavano vivi ed espressivi, la manipolazione li rendeva dominatori dell’oggetto e del loro corpo, in una parola: presenti a se stessi.
“Lo studio ‘étude’ di movimento scenico è la palestra per sviluppare questa consapevolezza: trovandosi privato della parola, infatti, l’attore è costretto a lavorare con il suo corpo e con gli oggetti in scena, deve creare una storia dal nulla, viverla e “agirla” in scena, riscoprendo le capacità espressive del proprio corpo” precisa Mattia.
E noi anche non abbiamo dubbi sulla necessità di questo tipo di studio per chiunque voglia affrontare la scena.

 


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