Marco (nome di fantasia) è un bimbo di quasi 8 anni, magrolino, con capelli neri ritti che sembra un pulcino.

Marco è balbuziente. Molto balbuziente. E’ la quarta volta che mi capita di avere un allievo affetto da balbuzie. La prima cosa che mi chiedono i genitori in questi casi è: “E’ in grado di fare teatro?”. La domanda è sempre questa, anche quando il problema cambia: dislessia, sindrome di down, autismo, mutismo selettivo.

Io prima sorrido per l’ingenuità di questa perplessità e poi rispondo sempre: “Il teatro è per tutti e di tutti”.
Non c’è quindi tipologia di persona che il teatro non possa includere e valorizzare.

Il fatto è che nel caso di balbuzie (ma anche in caso di bambini particolarmente timidi e introversi), ciò che letteralmente terrorizza i loro genitori è l’immagine del proprio figlio sul palco, davanti a un grande pubblico, che per l’emozione si blocca e non riesce più a dire le sue battute. Per empatia, questi genitori vivono il dramma del loro bambino: umiliato, frustato, impanicato e temono che molto probabilmente resterà traumatizzato da questa esperienza per tutta la vita!

Non sanno (e non possono forse nemmeno immaginare) che il percorso laboratoriale mira innanzitutto a far acquisire all’allievo sicurezza in se stesso, ma anche e soprattutto negli altri  e che quindi arriverà allo spettacolo ben equipaggiato per affrontare “la prova”.
Tranquillizzo così l’adulto e comincio a instaurare la mia relazione con il bambino.

Marco, con mio grande stupore, non è affatto un bambino introverso, anzi! Chiacchiera molto e lo fa già negli spogliatoi, con il giubbino ancora addosso. Risponde a me che lo accolgo e che gli faccio domande, rivolgendosi però anche ai compagni. Contemporaneamente, osservo gli altri bambini mentre guardano Marco che ovviamente balbetta.  E’ bello cogliere come nei loro occhi non ci sia derisione, ma al contrario una sorta di tenerezza.
Questo è già un ottimo punto di partenza: quello di un gruppo solidale che lavora in un clima non giudicante.

Entriamo in sala e iniziamo con il primo esercizio. In cerchio ciascuno deve dire il proprio nome associandolo a un gesto. Tutti gli altri ripetono nome e gesto del compagno. Anche io e Assunta facciamo l’esercizio con loro. Marco si diverte e ripete senza problema nomi e gesti di tutti. Appena arriva il suo turno, Marco però si blocca. Non riesce a dire il suo nome perché non riesce a trovare il suo gesto. E così fa una cosa: si preme forte forte la testa con un lamento, e poi con tono arrabbiato e piagnucolante insieme sbotta: “Non riesco a parlare!”. Credo sia stata una delle immagini più strappa-cuore che io abbia mai visto. Mi chino e gli dico: “Non preoccuparti, Marco, con calma. Abbiamo tempo”. Ma Marco è arrabbiato. Che fare? Non posso lasciare Marco da solo in quel pantano, mentre tutti i compagni lo guardano con gli occhi sgranati. Allora faccio una cosa che di regola non dovrei fare: suggerisco. In pratica faccio io il suo gesto per lui. Stringendo il pugno per mostrare il muscolo del braccio, faccio il gesto della forza. Dico: “Marco!” e lo dico forte, con fierezza. Lui sorride felice e lo fa, con altrettanta forza e fierezza. Durante il corso della lezione notiamo che in effetti Marco lì dove deve ripetere delle frasi o delle parole ascoltate da altri non balbetta. In generale, partecipa a tutto con grande entusiasmo e ha molta, molta fantasia. In alcuni momenti devo addirittura contenerlo, poiché tende a uscire fuori dall’esercizio. A volte, accondiscendente, gli dico: “Va bene Marco, lo facciamo dopo”; altre, mi ritrovo costretta a dirgli con fermezza: “No Marco, non puoi farlo. Non è questo l’esercizio”. A un certo punto smette di fare l’esercizio e mettendo il muso si va a sedere offeso. Io allora gli sussurro all’orecchio con grande serenità: “Mi dispiace, Marco, ma è la regola dell’esercizio”. Poi finalmente nelle improvvisazioni dà il meglio di sé. Noto come si trovi a suo perfetto agio nei personaggi che esercitano l’autorità. E’ convincente nel dettare le regole e pretenderne il rispetto quando nel ruolo del maestro si dà da fare con due alunne un po’ maleducate. A fine lezione, il papà malcelando la sua preoccupazione, gli chiede: “Allora? Ti piace?”. Marco ovviamente dice sì e va via salterellando tutto contento. Io e Assunta ci guardiamo soddisfatte. Non ce li diciamo, ma in realtà entrambe stiamo pensando la stesso cosa e cioè che anche Marco qui ha trovato un posto dove il suo “problema” non è più un problema. Nella sua scuola di teatro, Marco non è il bambino balbuziente. Marco è semplicemente un allievo-attore pieno di fantasia che imparerà il gioco del teatro stando alle sue regole.