Due verbi imperativi per riflettere sulla relazione adulto-bambino 

Dopo oltre 20 anni di scuola di teatro, noi insegnanti continuiamo a interrogarci su cosa esattamente fa sì che i bambini si innamorino follemente del teatro al punto da non riuscire più a farne a meno. Le risposte hanno sempre riguardato ciò che accade nella sfera intima dei nostri piccoli allievi (la libertà di esprimersi, di sperimentare emozioni, di fantasticare per elaborare bisogni, sogni, paure) e in quella sociale (condividere e stringere relazioni con altri bambini in un clima sereno, gioioso e non competitivo). 

Eppure, prima di diventare mamma, non mi ero mai soffermata su un altro aspetto importante, ovvero sulla particolare relazione che lega allievo e maestro di teatro, ovvero una relazione fra bambino e adulto del tutto positiva e speciale.

La riflessione è nata un giorno di qualche mese fa, in una mattina in cui mio figlio non era andato a scuola per via di un raffreddore. In quell’occasione notai con quale incredibile frequenza mio figlio pronunciasse la parola “Guarda!”. A un certo punto, forse perché con fatica cercavo di trovare un po’ di concentrazione per lavorare, quella parolina era diventata una sorta di intercalare martellante. Ma subito dopo mi resi conto che non solo quel giorno, ma in generale era proprio quella parola che senza dubbio pronunciava più spesso. Anzi, a pensarci bene, non solo mio figlio, ma tutti i bambini indistintamente. Fateci caso: la ripetono continuamente, per ogni minima cosa. Tutto ciò che fanno – soprattutto quando giocano – è accompagnato da questo imperativo rivolto all’adulto, in particolare al genitore: “Guarda!…. Guarda!!… GUARDA!!!”. 

Ora, non possiamo liquidare questa parolina di 6 lettere come espressione dell’egocentrismo cosmico dei bambini, soprattutto in età pre-scolare.

Il suo vero significato (il sotto-testo, come lo chiamiamo noi attori) è inequivocabile. Egli ci sta infatti dicendo: “Guarda cosa ho imparato! Guarda cosa so fare!” o anche “Guarda come mi diverto! Guarda come sono felice!”. In altre parole, quando il bambino dice ‘Guarda!’ vuole semplicemente esistere agli occhi dell’adulto che ama: “Guardami. Sono qui”.  I bambini infatti costruiscono la loro identità attraverso lo sguardo dell’adulto che svolge la funzione di uno specchio. Se tu mi vedi, io allora ci sono, esisto. Se poi attraverso quello sguardo il bambino legge attenzione, partecipazione, approvazione, allora costruirà un’identità di sé positiva.

Ebbene, se dovessi però dire qual è di contro la parola più spesso usata dall’adulto in risposta a questo richiamo di attenzione del bambino è sicuramente “Aspetta!”. C’è sempre qualcosa di, non dico più importante, ma quantomeno più urgente. Un altro interlocutore, una telefonata, la cena da preparare, una email da inviare, un telegiornale da ascoltare, un libro da leggere. “Aspetta!”, quindi, accompagnato da varianti quali: “Dopo”, “Non ora”, “Più tardi”, “Un attimo”.

Tornando alla lezione di teatro, lì invece cosa accade? Accade che in uno spazio delimitato (quello della scuola di teatro) e per un lasso temporale preciso (le due ore di lezione), nella relazione adulto-bambino “Guarda!” non ha mai come risposta un “Aspetta!”. 

L’insegnante è lì proprio per questo, per guardarlo; e attraverso il suo sguardo attento guidarlo, sostenerlo, spronarlo, riconoscerlo. 

Ma dirò di più: durante l’attività teatrale lo sguardo dell’adulto-insegnante è talmente concreto che la parola ‘Guarda’ scompare. Per il bambino è infatti un dato tangibile che l’adulto sia lì presente con lui, perché c’è sempre l’atto del ‘vedere’ che sottende la condivisione e la partecipazione emotiva ai diversi giochi di espressione del sé.

Il bambino – a differenza dell’adulto – ha pertanto colto perfettamente il significato più profondo del verbo ‘guardare’, che non vuol dire semplicemente “volgere lo sguardo verso qualcuno o qualcosa”, ma assistere, custodire, prendersi cura.

Sforziamoci quindi di ‘guardare’ davvero i nostri bambini e lasciamo che sia tutto il resto a dover ‘aspettare’.