Essere o non essere Amleto

Confrontarsi con Shakespeare, a 400 anni dalla sua morte e cogliendo a pretesto le celebrazioni per l’anniversario della sua scomparsa, non è un vezzo da tenere chiuso nei teatri, né dovrebbe essere un titolo di locandina.

Il lavoro che abbiamo affrontato quest’anno con gli allievi-attori adulti del corso di teatro avanzato di Potenza ha trascinato giorno dopo giorno gli attori dentro i loro personaggi, e dunque dentro se stessi.

Perché, come dice la critica ufficiale, con l’Amleto si è inventato l’uomo. Che è un po’ come dire l’evoluzione umana si è fermata al 1602, anno della sua composizione. Ovviamente, non è così, ma l’eredità che abbiamo noi nei confronti di questo immortale classico è ben più gravosa di una semplice rilettura. La tragicommedia ‘Non ce ne voglia Shakespeare’ muove da un immaginario accidentato che erroneamente pone il linguaggio della tragedia tra i colti, lasciando indietro aspetti alla portata di molti, per esempio un matrimonio.

È il giorno delle nozze di Gertrude e Claudio. I preparativi fervono e con loro tornano ad affiorare i conflitti che sembravano sopiti in famiglia. Amleto scopre il fantasma di suo padre che si aggira per la villa in cui si terranno le nozze. L’uomo cerca di coinvolgerlo nel suo piano di vendetta contro Claudio, contro Gertrude, contro tutti. Ma a distrarre Amleto c’è l’arrivo – inaspettato – dell’irrequieta e bellissima Ofelia. La ragazza che ha amato tantissimo, l’unica che lo abbia amato a sua volta, e che ora torna “a corte” dopo dieci anni. Il momento del teatro nel teatro in cui si ricostruisce l’omicidio del Re è trasposto nella canzone “Money” che canta la band del matrimonio, capace di parlare a tutti i personaggi, in un momento quasi da musical. Tutto è folle e sopra le righe, finché Ofelia, durante l’eclissi di sole, non si toglie la vita.

E come può un attore continuare il suo show dopo il funerale del suo amore?

Gli allievi-attori, chiamati ad un compito che non è solo di rievocazione ma di reciproca comprensione con Shakespeare stesso, hanno sgocciolato per mesi da se stessi ai propri personaggi, come panni stesi ad asciugare, e il lavoro di regia si è concentrato proprio su questo verbo: asciugare.
La retorica. Gli spazi. Le voci.

E così la stesura del testo si è lasciata volutamente contaminare dalle riflessione che ciascun interprete ha affrontato sul proprio nome, mettendone in fila le emozioni caratteristiche, le debolezze e le interazioni: cosa aspettava mai Ofelia? Quale fine? Quale treno?
Cos’era tanto importante per Polonio tanto da non mostrare mai il viso ai suoi figli?
Dove voleva arrivare Claudio?
E Gertrude come era giunta a possedere un’anima tanto nera da scegliere un abito bianco verginale per le sue seconde e delittuose nozze?
E Amleto, certo. Il principe di Danimarca che non governerà mai il suo regno e che oscilla paurosamente sulle psicosi sue e di tutti, per tutto il tempo, per la lunghezza del palco.

E’ tutto molto attuale, tutto molto qui, come spiegano chiaramente i diari di bordo degli allievi che in questi giorni si susseguono sulla pagina Facebook de La Scuola sull’Albero, in attesa della messa in scena del 10 giugno per la regia di Vania Cauzillo, l’assistenza alla regia di Donatela Corbo e il disegno luci di Donato Zaccagnino.
La drammaturgia è di Laura Grimaldi, mentre in scena ci saranno Giulia Abiusi, Tiziana Aquino, Maria Carmela Bruno, Giuseppe Calamita, Claudia Del Giudice, Donatella Dores, Gianmichele Genovese, Enzo Gentile, Valeria Giampaolo, Maria Serena Laguardia, Giuseppe Loisi, Maria Rosaria Maio, Rosalba Molaro, Ramona Rufino, Flavio Travaglini, Rosita Viccaro.

La realtà si incrina, la quarta parete si rompe.
Ofelia si è uccisa davvero, lo spettacolo deve finire.
Non si può continuare.
O forse sì.

Lo facciamo forse ogni giorno, scegliendo l’espressione di giornata, dormendo e svegliandoci, essendo molto o molto poco, e ripetendo con lo stesso identico brivido la battuta più famosa della storia: ‘essere o non essere, that is the question’.