Silent City e gli sguardi sulla città

PHOTO  Matera, Basilicata, 1948. Credits: © David Seymour/Magnum Photos

Da quando stiamo lavorando su Silent City abbiamo più volte parlato di percezione della città. Tra i mille sguardi e le mille percezioni che un posto può avere, sicuramente la grande differenza sta nella visione interna (di chi ci abita, di chi ci vive) e in una esterna (del visitatore o di chi la immagina pur non avendola mai vissuta o visitata).

Si creano così molteplici approcci e molteplici visioni. Qualcosa viene alla luce e qualcosa viene omesso. Pezzi di memoria che riaffiorano ed identità che rimangono invisibili.

Ma cosa succede quando un team di artisti si mette a lavoro su un progetto (Silent City) che parte appunto da una città e dalla sua comunità? Quali sono le loro percezioni? Cosa vedono, cosa sentono, cosa immaginano? Quali le loro aspettative? Che risposte la città dà alle loro domande?

L’11 maggio si è conclusa la seconda fase di Silent City, la costruzione di una Community Opera che andrà in scena per il programma ufficiale di eventi di Matera 2019. Il lavoro di questa seconda fare riguardava la ricerca della musica e delle arie della nostra Opera, guidata da compositore internazionale Nigel Osborne. Tutti gli artisti ed i partner coinvolti nel progetto sono arrivati a Matera per discutere, creare,  ma soprattutto per incontrare e lavorare ancora una volta con le comunità della Basilicata: bambini, studenti, adulti, anziani.  Ancora mille sguardi e mille percezioni.

Abbiamo chiesto alla librettista di Silent City –  la poetessa Ubah Cristina Ali Farah – di condividere la sua visione su quello che è successo. E così è lei a raccontarci, con la sua raffinata scrittura, cosa è successo nella nostra intensa settimana di lavoro.

“Immagina i Sassi come percorsi da vene d’acqua, dice Vania mentre discendiamo dal convento delle Monacelle, una radiografia di serbatoi e canaletti dove l’acqua si raccoglie e decanta. Sebbene abbia sentito parlare delle grotte, mi era difficile a occhi chiusi immaginare questo paziente lavoro di scavo, il materiale di risulta impiegato per costruire facciate.  Sono arrivata a Matera ieri di prima mattina, eppure sembra siano passati solo pochi minuti da allora (o sono forse mesi?), il tempo sospeso in una luce rarefatta quasi d’oro.

Varcata la soglia sono pervasa da un’intensa emozione, scioperi e ritardi hanno reso particolarmente complicato il mio viaggio e incontrarsi con il gruppo di lavoro al completo per la prima volta provoca una commozione travolgente. Ci sono già tutti: Nigel al pianoforte, Robert prepara telecamera e macchina fotografica, Gino aspetta di accogliere nell’androne Caterina e Pasquale e poi Alessandra, Tina, Paolo, Tommaso, Andrea, Rita, James, Luca, Vania, insieme per creare Silent City, la nostra opera comunitaria.

Andrea racconta le storie d’infanzia nei Sassi che abbiamo ascoltato lo scorso mese, storie di bambini e padri costruttori, piene di speranza e ansia per l’avvenire. Un sentimento di pudore emerge dalla memoria dei Sassi, pudore per quella che avevano definito vergogna nazionale, quasi si trattasse del peccato originale o della perdita dell’innocenza.

Fu negli anni Cinquanta che Adriano Olivetti riunì un gruppo di intellettuali allo scopo di costruire una città che tenesse conto della storia della comunità, in cui fosse possibile ricreare lo spazio vuoto e condiviso del vicinato. I Sassi brulicavano di bambini, ricorda Caterina, le donne svolgevano i loro lavori all’aperto, soprattutto nelle giornate di sole. Il vicinato era tenuto vivo dalla necessità, sebbene anche i più benestanti vivessero frugalmente, nutrendosi dei prodotti della terra.

Nei vicinati si raccoglievano i soldi per i fuochi del due luglio, il giorno della Madonna della Bruna e a volte si condivideva la stoffa per l’abito della festa che doveva essere nuovo di rigore.  Non di rado si potevano incontrare fanciulle vestite identiche: Pasquale ricorda un gruppetto di tre quattro ragazze indossare un motivo di rose rosse. La festa dura quasi ventiquattro ore e Caterina la racconta nei dettagli, la processione dei pastori, le due Madonne, il carro di cartapesta difeso a colpi di nerbo di bue, la cavalcata, i fuochi d’artificio.

Ed ecco che nasce una canzone ispirata al racconto di Pasquale su un giovine disabile e devoto che si unisce alla processione dei pastori, fiducioso nella protezione della Madonna.  Rita ritornerà nel pomeriggio sull’atmosfera della festa, la tensione, la partecipazione della comunità, la madonna che ha paura, pettinata da donne anziane.

È ora di pranzo e ci raccogliamo tutti intorno a un tavolo imbandito di mandorle tostate, insalate, legumi, mozzarelle e torte di zucchine. Un sentito momento di confronto in cui raccogliamo le nostre idee. “Siamo in presenza di un vulcano in fervente attività” dice Nigel “l’eruzione sarà spettacolare anche se ancora imprevedibile”. James suggerisce una storia in cui passato e futuro si compenetrano, Tommaso ci aiuta a definire i tempi, si distribuiscono i compiti, confluiamo insieme verso lo stesso estuario.

Il pomeriggio riceviamo un secondo gruppo di signore, la loro allegria è dirompente, Gino orchestra le loro voci, compongono insieme a Nigel una canzone sui luoghi di Matera, la Murgia, la gravina, le chiese rupestri, la grotta di Chitarridd e lo iuriu, il gorgo dove i bambini che marinavano la scuola disgraziatamente potevano perdere la vita.

È poi il momento delle leggende, come quella del conte Tramontano, ucciso in via del Riscatto dai contadini che vessava. Il termine del nostro incontro pomeridiano non interrompe il fluire di immagini e suggestioni, gorgoglianti come acqua sotterranea che esce improvvisa tra le pietre. L’espressione Maria Camminanda per esempio, che Alessandra spiega a noi ignari con note esilaranti, riproducendo i suoni del dialetto.

L’indomani, intervallato solo da un’escursione nella città in cui Vania ci fa da guida, è il giorno dell’incontro con i bambini nelle scuole. Interpellati di immaginare la loro città ideale, danzano, cantano in coro evocando immagini di luce, di scale, di pietre vive e soprattutto d’acqua.

E il giorno della partenza, l’acqua scorre abbondante sui sassi lucidi di Matera, sorprendendoci come un torrente in piena.”