“Ragazze, con il gruppo dei ragazzini più piccoli è stato un disastro! Io non so cosa gli sia preso… Super-scostumati e ingestibili. Proprio assai! Una lezione tremenda! Qualsiasi tecnica usassi non funzionava… Poi, mentre lavoravano a un esercizio di scrittura creativa, mi sono allontanata per andare un attimo in bagno e loro hanno buttato a terra tutte le penne… Così rientrando sono scivolata e sono caduta…. Un male alla schiena enorme! Insomma, benvenuta a Melfi.”.

Io non credo alla mie orecchie. Riascolto l’audio che Vania ha inviato nel gruppo insegnanti della nostra scuola una seconda volta. No, non ho capito male. E Vania non è una che esagera, in queste cose.
Insomma, io e Assunta siamo entrambe impossibilitate a condurre la lezione con il nostro gruppo di ragazzini di Melfi di 11 e 12 anni, Vania si scapicolla da Matera per sostituirci e questi danno di matto? Così, all’improvviso??
Cerco una spiegazione e così avanzo un’ipotesi: i bambini sono stati colti dalla sindrome della supplente. Sì, insomma, mi viene in mente quando a scuola il professore burbero e severo si assentava per pochi giorni  e in sua vece arrivava la supplente dolce e sorridente e ognuno si permetteva di fare un po’ quello che gli pareva in quanto certi che tanto la povera sostituta non avrebbe avuto alcun potere di influire sui voti del quadrimestre. La tesi ovviamente non mi convince, né mi rincuora, così rimando la decisione su come gestire la cosa al lunedì successivo.

A distanza di una settimana, ho già dimenticato l’accaduto. Tante cose sono successe nell’arco di sette giorni e quando chiedo agli allievi di entrare in sala sono totalmente concentrata sul lavoro programmato per le due ore successive.
Mentre stiamo per cominciare, Assunta però (la più giovane delle insegnanti e quindi quella con una memoria che – ancora – non vacilla) mi sussurra: “Dobbiamo fare qualcosa per l’accaduto di lunedì scorso… Non può passare così!!”.
“O cavolo! Ma certo!”
E così, senza avere il tempo di pensarci nemmeno un secondo, dò inizio al mio monologo.
I bambini-quasi-ragazzini sono casualmente suddivisi su due file contrapposte, sull’attenti: una alla mia destra e l’altra alla mia sinistra. Io e Assunta (anche noi casualmente?) ci fronteggiamo al centro di questi due schieramenti: io in piedi in assetto da guerra, lei seduta a farmi da spalla.

“Noi siamo sconvolte da quello che ci ha raccontato la maestra Vania” dico con tono grave, tra il severo, il deluso e lo sconcertato. “Quando ce l’ha raccontato non credevamo alle nostre orecchie. Ciò che avete fatto è GRAVISSIMO!”.
E sulla parola ‘gravissimo’ Gabriele, alla mia sinistra, sorride. Lo fulmino con lo sguardo. Lui allora si mette una mano sulla bocca.
“Niente, è un impunito!” penso. Poi mi volto alla mia destra e anche tre insospettabili – Aurora, Flavia e Valeria – stanno sorridendo. “Vale’!!??”. Riesco solo a dire incredula. Lei fa spallucce e risponde “Eh…” sempre ridendo.
Anche qui cerco una spiegazione e così mi auto-convinco sia solo un sorriso imbarazzato. Mi fa troppo male pensare che i nostri piccoli Dottor Hyde si siano improvvisamente trasformati in tanti Mister Jackyll!

“Vania non è una supplente, è un’insegnante della Scuola, esattamente come me e Assunta. E anche se fosse stata una supplente o un’insegnante esterna meritava ugualmente rispetto. Qui tutti meritano rispetto: insegnanti e allievi. Tutti! Questa regola è imprenscindibile nel teatro, come nella vita. Quanto accaduto è quindi INACCETTABILE!” (ma quanto mi piace sottolineare le chiuse?).
Niente. I loro visi continuano ad essere… sereni! Qualcuno continua ancora a sorridere, seppur solo con gli occhi. Qualcun altro si mordicchia il labbro. Qualcun altro ancora indietreggia con le mani dietro le schiena.
“E la cosa più grave” – continuo – “è che non ci sembrate affatto dispiaciuti!”.
Se questo è il risultato del nostro lavoro, noi insegnanti abbiamo sbagliato qualcosa, penso: è evidente. Vorrei mettere la testa sotto la sabbia, come gli struzzi. Archiviare l’episodio e andare avanti. Può succedere, sono solo bambini (mi ripeto). Ma poi penso a Vania che cade sul sedere e a loro che ridacchiano… La scena in effetti è abbastanza ridicola, come dargli torto. E a dirla tutta anche abbastanza inverosimile.
“Non voglio nomi. Ciò che è accaduto è responsabilità di tutti! Quindi le conseguenze ricadranno su TUTTI VOI!”. Ormai sono in pieno mood militare e parlo col piglio del sergente Hartman di “Full Metal Jacket” nella famosa scena della sveglia.

“Maestra…”
E’ una voce timida, femminile. Qualcuno parla, finalmente. E’ Federica, allieva seria e giudiziosa. Ora dirà sicuramente qualcosa di sensato, una frase che potrà farmi ricredere e tornare a guardarli con occhi pieni di orgoglio.
“Ehm… volevo dire… che…”.
“Federica, che vuoi dire? Su, parla!”, la incoraggio con tono carico di speranza.
Sta per chiedere scusa a nome di tutto il gruppo, me lo sento!
“…..”
Ancora mugolii e sguardo basso, seppur con quel sorrisetto imbarazzato ancora stampato sul volto.
“Federi’… allora??” incalzo con impazienza.
Prende fiato e….: “E’ uno scherzoooooooo!!!!!”.

Urla e risate fragorose. Io esterrefatta non riesco a dire niente. Mi limito a guardare Assunta. “Ha detto che è uno scherzo??”, farfuglio stordita.
Mi fa sì con la testa e lo sguardo spaesato. “Ma tu lo sapevi?” – “No”.
Loro intanto ridono. “Uno scherzo della maestra Vania, quindi?”
“Sìììììììììì!!!!!”
Oh, cari, cari!!! Vorrei abbracciarli tutti a uno uno. Chiamo Vania al cellulare e la metto in viva-voce.

“Pronto?”

“Abbiamo fatto lo scherzoooooooo!!!!!!!!” urlano in coro.

Vania ride e urla anche lei.

Gabriele ride più di tutti. Si tiene la pancia. Poi si avvicina e mi dà qualche amichevole pacca sulla spalla, come se fossimo due vecchi amici che si raccontano storielle divertenti al bar.  E su quel gesto mi sento incredibilmente legata a loro.

Mi allontano, perché in mezzo a tutta quella confusione non riesco più a sentire la voce di Vania.

“Ale, sono stati bravissimi, invece! Mi hanno accolta benissimo e hanno lavorato davvero bene!”.

Sono felice. Felice e orgogliosa dei miei allievi vivaci e chiacchieroni, ma sempre educati ed entusiasti del lavoro che facciamo insieme.

Rientro in sala quasi saltellando. Assunta ha nel frattempo cominciato la lezione con il primo esercizio.

Si respira un’aria frizzantina… La complicità fra loro e Vania nel “progettare” lo scherzo e poi fra di loro per metterlo in scena e infine le risate con me e Assunta, è come se avessero cementato ancora di più questa relazione particolarissima che si crea tra il maestro di teatro e i suoi allievi.

E così durante tutta lezione ho sentito chiara dentro di me una sensazione – questa sì  convincente! – ovvero che dopo questo scherzo, non so perché, ci vogliamo tutti ancora più bene.