Romeo e Giulietta: ancora?

Ogni generazione ha mantenuto in vita l’opera di Shakespeare in varie forme, riscoprendo continuamente come la storia di questi due iconici, eterni e paradigmatici innamorati riesca a dare un senso all’infinito ciclo di amore e odio, di violenza e passione che contraddistingue l’esistenza umana.

Certo, di stucchevolezza in questi cinquecento anni la “suprema e dolente tragedia di Giulietta e del suo Romeo” ne ha masticata parecchia. Fatto sta che tutti ne abbiamo sentito parlare almeno una volta, tutti abbiamo assistito a un qualsivoglia allestimento, musical, opera liberamente tratta, lettura. E tutti ci siamo paragonati a un amore così assoluto e definitivo, oppure ce ne siamo scherniti.  

Eppure di Romeo e Giulietta non siamo ancora sazi: perché?

Con gli allievi–attori adulti del corso di teatro avanzato di Melfi abbiamo ripreso in mano la tragedia lavorando sulla possibilità di costruire più piani di interpretazione e, dunque, di linguaggi con l’obiettivo di restituire al pubblico la contemporaneità di questo testo.
Non è stato facile.
Abbiamo creduto più volte di perdere la testa perché quello che ne è venuto fuori è una resa teatrale ad alto tasso psicologico

Il testo di ‘Finchè Shakespeare non ci separi’ – scritto da Raffaele Graziano Flore e Alessandra Maltempo – è stato scritto su una struttura a scatole cinesi. La tragedia shakespeariana sta infatti dentro un’altra tragedia, quella degli attori chiamati a interpretarla; due drammi che a un certo punto si incroceranno in un unico punto per riscrivere un finale ancora più tragico e terribile di quello che tutti conosciamo.

Cinque attori vengono scelti da un misterioso regista per un allestimento sperimentale di “Romeo e Giulietta”. Gli attori resteranno chiusi in teatro per 4 mesi senza possibilità di uscire o comunicare con il mondo esterno. Il regista non si palesa mai, è solo una voce che come un deus ex machina dirige le prove e governa questo micro-mondo con l’aiuto del suo assistente che è il suo braccio esecutivo sulla scena.
L’esperimento del regista è infatti ambizioso ed estremo: annullare del tutto il confine tra attore e personaggio. Gli attori infatti sono stati scelti proprio perché hanno alle spalle qualcosa di profondamente comune al personaggio che sono stati chiamati a interpretare. Prova dopo prova, scena dopo scena, il regista scava nell’inconscio degli attori che gradualmente vengono portati al transfert totale, alternando l’affermazione di sé a quella del proprio personaggio.
Come finirà dunque questa ardita messa in scena, in cui il metodo Stanislavskij è portato all’estremo e su cui incombe la sacralità della tragedia shakespeariana per eccellenza? Come interagiranno le anime degli interpreti moltiplicate per due alla volta?

E’ già intuibile dai diari di bordo degli allievi che in questi giorni vengono raccontati sulla pagina Facebook de La Scuola sull’Albero, in attesa della messa in scena del 24 giugno.

In scena Jesus Antonio Bermudez Sportiello, Donatella Corbo, Rachele Leccadito, Americo Palermo, Ramona Rufino, Vincenzo Zenti. Con la partecipazione di Mattia Di Pierro. La regia è di Alessandra Maltempo, assistente alla regia Mattia Di Pierro.

Recuperando qua e là qualche elemento pirandelliano, ‘Finchè Shakespeare non ci separi’ prova a scavare in una possibile interpretazione psicoanalitica della tutt’altro che ‘romatica’ opera Shakespeariana. Così che di “sospirato al chiaro di luna”, su un balcone nel centro di Verona, non rimane più nulla.