Quando i timidi incontrano il teatro

Forse non ve ne siete mai accorti di quanto ogni singola debolezza a teatro acquisti un potere narrativo pazzesco. Perché accade? Non è morbosità né pettegolezzo, non è curiosità di assistere allo spettacolo di un fianco scoperto: è il fianco scoperto ad essere spettacolare da solo. Giochi di parole a parte, si scopre che il palcoscenico può fungere da accreditatissima clinica della timidezza, in cui diagnosi e terapie si avvicendano e si completano, in cui la ricerca è viva e vitale, in cui ciascuno può essere lasciato solo davanti al proprio fianco scoperto, ma con uno strumento più o meno cognitivo. La conoscenza distrugge in molti casi la paura, ma il passo in più del teatro è rendere la paura stessa una forma di conoscenza.
Il teatro che prima di arrivare alla Compagnia si esplica nei laboratori e nei corsi didattici è essenzialmente un esercizio. Staremmo qui a dire stancamente che è un esercizio di sé stessi, ma saremmo insopportabilmente retorici: l’esercizio in questione è molto più che cerebrale; è fisico, è sforzo, è ghiandolare. E’ il motivo per cui le sale prova sanno di sudore ed occorre aprire le finestre a fine lezione; è il motivo per cui ci si toglie le scarpe per avvertire il contatto con la sensazione fisica del teatro sotto sé stessi; è il motivo, infine, per cui un fianco scoperto non ha scampo. Non ci sono scuse per i difetti, le timidezze non possono sottrarsi e il superamento sta solo nella condivisione continua e necessaria con il gruppo. Ecco perché non è vero che il palco è degli sfacciati, non è vero che il palco è degli istrionici per natura. Mai come in questo caso, istrionici si diventa, e più si mette in campo una debolezza, maggiori sono i canali di comunicazione che si attivano. Il teatro reclama la capacità di essere timidi, la timidezza reclama il teatro: le due cose si mettono in osmosi da sole, se si dà loro la possibilità di incontrarsi.
Per esperienza diretta, in più di vent’anni di laboratori teatrali condotti con le fasce più disparate d’età, la Scuola su L’Albero ha visto piccoli e grandi cambiare volto davanti al pubblico, ma soprattutto davanti a se stessi; ha assistito al sorpasso fisico di una paura, il ‘passare avanti’ propriamente detto, che gli allievi ottenevano via via mettendo a disposizione una debolezza per mandare a memoria un testo, imparare un movimento, un equilibrio, una gestione emozionale, misurare la giustezza di una parola in un contesto piuttosto che di uno sguardo. Tutto grande, grandissimo. La grandiosità del teatro, inteso come ‘bisogno di fare cose ampie’ funge da copertura per i timidi: al contrario di quanto si possa pensare, ci si mette al riparo di un gesto grande, il gesto stesso diventa una scusa e al contempo una spinta al fare. Senza contare il processo di accettazione di una debolezza come funzionale alla scena. A teatro è dunque necessario essere timidi? Il mondo si è capovolto? Più che altro, siamo davanti al processo di inclusione per eccellenza: quello dell’ascolto. Educare a fare e vedere teatro è un’educazione all’ascolto:  stupitevi pure perché un giorno sarà perfettamente normale prescrivere teatro ai muscoli dell’anima.