Perché il teatro aiuta a crescere

Sembra che finalmente nelle scuole arriverà il teatro quale materia curriculare. Una conquista? Di più: un’opportunità.

Intendiamoci: nessuno chiederà ai nostri scolari di diventare attori, ma di provare a stare in equilibrio sulle parole dette e non dette, quello sì.

Dal 1993, abbiamo accumulato una significativa esperienza con i bambini e i ragazzi per poter dire che il teatro è uno strumento vero, il teatro parla alle personalità in crescita e, soprattutto, propone loro un’alternativa in controtendenza al modello educazionale che la società sembra richiedere a tutti i ragazzi lanciati verso la ricerca della propria autodeterminazione, ovvero quello della competitività. L’alternativa del teatro, invece, comprende delle integrazioni molto ghiotte, se non fosse che sono per lo più sconosciute: la riflessione, il silenzio, il giocare senza niente in mano, l’equilibrio con i compagni.
L’esercizio della Zattera, ad esempio, in cui il gioco consiste nel bilanciare la propria presenza con quella dei compagni, provando a riempire gli spazi senza lasciare vuoti.
Oppure quel gioco per cui, con i compagni, si costruisce una macchina fantastica, avendo a disposizione nient’altro che le mani, le gambe, gli occhi, i capelli.

Non dovremmo mai lamentarci per il fatto che i bambini di oggi non hanno fantasia perché, fondamentalmente, non è vero. Hanno delle abitudini diverse e sono figli del loro tempo, ma la maniera in cui i loro ingranaggi si accendono se solleticati conservano l’istintualità pura dell’infanzia che ci lamentiamo di aver perso.

Provate a passare per la sala prove, qualche volta, durante le lezioni dei più piccoli, laddove i giocattoli – quei piccoli totem che i bambini si portano dietro ovunque- vengono a poco a poco rimpiazzati dalle cose molto più interessanti che i compagni hanno da dire. E anche le maestre. Ne abbiamo visti, nel tempo, di bambini cambiare; ne abbiamo osservate di esigenze, bisogni, eredità che i piccoli allievi portano a lezione e a cui non devono rinunciare.
E’ la direttrice principale lungo cui si muove la scrittura, quando il copione viene prima pensato e poi costruito sui bambini. Non una parola viene scritta che non provenga dalle loro suggestioni, nulla che non discenda dai loro giochi teatrali può fungere da ispirazione.
Il teatro, anche in questo, è guida.
E a un certo punto, i bambini in teatro sono padroni del gioco: ma non perché fanno tenerezza, ma perché sanno esattamente dove sono e cosa stanno facendo.
E questo agli adulti non sempre capita.

Di certo, imparano a leggere dei linguaggi in cui abitualmente non si imbattono. Prendiamo ‘Ladri di scena’, ad esempio, lo spettacolo portato in scena dai piccoli del corso di Potenza: ‘Ladri di scena’ è una metanarrazione del teatro che utilizza le maestranze per raccontare un’avventura fantastica, fino ad accorgersi che per un anno intero tutti i piccoli attori hanno vissuto in prima persona quella stessa avvenuta fantastica. ‘Ladri di scena’ è, dunque, l’esempio del teatro nel teatro a misura di bimbo, non ci sono filtri, gli attori ci raccontano davvero – attraverso una storia – come hanno vissuto il loro corso di teatro.
Analogamente si comporta ‘Sognare in grande’, scritto per i piccolissimi di Melfi. Parliamo di bimbi di 5-6 anni, che hanno appena iniziato a leggere e scrivere e per cui il linguaggio teatrale può davvero fungere da madrelingua. Ed è una lingua che, se da un lato, è perfettamente comprensibile ai piccoli perché si muove entro dei confini riconoscibili, dall’altro pone ai grandi una domanda: “cosa ti direbbe oggi il bambino che eri?”.

Per quanto tempo i desideri e i bisogni permangono nella dimensione del sogno e come fanno a uscirne? I giochi di teatro e la preparazione di uno spettacolo ci consentono di parlare con i bambini usando una lingua che – ne abbiamo fortissima l’impressione – loro conoscono molto meglio di noi.
Chi apprende da chi, allora? E chi andrà sul palco davvero, alla fine dell’anno?
La risposta è: tutti.
Perché gli spettacoli costruiti per l’infanzia non lasciano scampo a nessuno: ti vengono a recuperare anche se sei seduto sulla più lontana delle poltroncine, anche se sei il più annoiato degli spettatori.

Se sei un maestro, poi, non hai scampo.
E a noi non avere scampo ci piace un sacco!