Nè grandi nè bambini: il teatro che cresce con l’età degli attori

Le età di passaggio, i riti, i rifiuti e le scoperte: come il teatro agisce sul periodo dei cambiamenti

Né grandi né bambini: chi si ricorda come ci si sentiva a quell’età particolare in cui si era indecisi se fare qualcosa per paura che fosse troppo da bambini o ci si chiedeva se fosse abbastanza da grandi fare alcune cose?
Indecisione e un egoismo crescente preludono da sempre all’adolescenza, in quegli anni particolari in cui si consuma l’ultima fase dell’infanzia e ci si affaccia, di fatto, a una vita nuova.

La distanza tra generazioni si acuisce e il dialogo sembra andare a farsi benedire.

Ma soprattutto, è un momento in cui non sono solo i ragazzi a crescere, ma anche tutti gli adulti che stanno loro intorno. Si ricalibra tutto, si cerca – se c’è – una lingua comune, e nel momento della prova dissennata del mondo com’è fuori della porta, il senso critico è chiamato a reagire.

Qui, potrebbe incontrare il teatro.

Nel corso di un anno di lavoro, è questo che abbiamo fatto con i nostri ragazzi più piccoli (8-10 anni) e quelli più grandi (11-13 anni): abbiamo esperito con loro il passaggio tra età.
I ragazzi hanno giocato un ruolo, abbattendo i normali confini tra immaginazione e realtà, cercando di liberarsi dalla paura di sperimentarsi, fino ad oltrepassare un usuale modo di essere.
Qui, i giochi non sono chiamati più tali, ma esercizi, esperimenti, anche il pensiero diventa flessuoso.

Pertanto il teatro sperimentato in adolescenza può considerarsi un’arte più creativa che mai, e profondamente trasformativa.

Abbiamo assistito con i ragazzi a quel processo di separazione (dai primi oggetti d’amore, quali i genitori) e alle inevitabili perdite (la propria infanzia), all’impeto delle passioni e alla instabilità dei confini ordinari del pensiero logico e formale. I sentimenti appaiono intensi e inconciliabili. Tutto ci è apparso nei loro occhi fluttuante come in un sogno.

Ma noi abbiamo tenuto duro sul senso critico, nonché sul lavoro di gruppo. La messa in scena di ‘Mistero al museo’, che utilizza le figure dell’arte non solo in ottica conoscitiva ma anche educazionale, ha voluto regalare ai più piccoli la scintilla dell’immaginazione che c’è dietro al reale, prima di varcare un confine in cui la fantasia si trasformerà per sempre.
E ci piace l’idea che restino nella loro memoria i nomi delle opere d’arte più famose del mondo, legate ad un processo di crescita che saranno in grado di riconoscere.

Cronache da un condominio’, pièce elaborata per i ragazzi più grandi, possiede un ritmo più vivace e colorato, è ricco di voci così come lo è l’adolescenza, e richiede un equilibrio tra parole ed egoismi che i ragazzi sono chiamati a rappresentare, ma soprattutto a rispettare, sul palco.
Il training dei due spettacoli è, dunque, fortemente emozionale, tra linee rette e paradossi.
In questo modo, quello che sembrava incomunicabile – coi maestri, genitori, amici – si è sciolto.

L’altra faccia della medaglia, a lavorare sul confine delle età, è l’intimità in cui il lavoro teatrale è capace di penetrare: a mano a mano, qualcosa di profondamente personale si sovrappone e si misura con il reale, esplorando uno spazio di confine che non è né interno né esterno, né privato né pubblico.
Tale abbandono creativo fa esperire una vicinanza con parti di sé che sfuggono alla logica, ma piuttosto appartenenti al regno del sogno e dell’inconscio.
E’ in questo spazio potenziale che ci siamo incontrati, abbiamo giocato, abbiamo creato e abbiamo immaginato un pubblico, allenandoci a restituire così il nostro percorso teatrale.
La forma di libertà che con i ragazzi ci concediamo è in grado di orientare il pensiero critico e di guidarlo nelle scelte che, da questo momento, in poi, il processo di crescita mette in atto, escogitando anche modalità di pensiero nuove e sconosciute, oscure e arbitrarie rispetto al modo consueto di sentire gli eventi e di abitare i processi mentali.

L’anima dei ragazzi tra l’infanzia e l’adolescenza si nutre di sentimenti vaghi e inarticolati e sulla scena non resta loro che lasciarsi avvicinare da esperienze, confinate come tesori nel profondo, che aspettano solo di essere scoperte.
O meglio ancora: rappresentate.