Il paradosso di Diderot | Diario di un maestro

“La sensibilità fa gli attori mediocri, l’estrema sensibilità gli attori limitati, il sangue freddo e il cervello gli attori sublimi.”

Con questo paradosso, che proprio per la sua natura sembra scontrarsi con l’opinione comune, il filosofo ed illuminista Denis Diderot riuscì ad attaccare la sensibilità di quegli autori e di quel pubblico ancora ancorati ai principi assoluti del Romanticismo.

Ancora oggi molti sono convinti che l’attore debba “entrare nel personaggio”, come se dovesse farsi carico di tutte le sue passioni, le sue emozioni, le sue criticità.

Se così fosse gli attori di talento li troveremmo più facilmente nelle celle di un manicomio, più che nei camerini di un teatro.

Questo non vuol dire che Diderot ritenesse gli attori privi di sensibilità, ma piuttosto che questa debba essere padroneggiata dal mestiere. Infatti, aggiunge Diderot “Un attore che ha soltanto buon senso e giudizio è freddo; uno che ha solo sensibilità e vivacità è folle. Solo una combinazione di buon senso e calore fa l’uomo sublime: e sulla scena, come nella vita, chi mostra più di quanto sente fa ridere invece di commuovere.”

Per meglio comprendere quanto un attore sia coinvolto emotivamente in una scena, possiamo immaginare ad esempio quello che succede a due attori che si baciano sullo schermo. Per quanto appassionato possa apparirci quel bacio, questo non implica che tra i due esista una relazione anche al di fuori della scena. Se ad ogni scena romantica un attore o un attrice si dovessero realmente innamorare, o in un film di guerra veramente odiare o soffrire, alla lunga ci sarebbe veramente da doversi preoccupare per la loro salute mentale.

Ecco quindi la necessità per l’attore di dover “giocare” in scena, permettendosi in questo modo di rappresentare anche la realtà più cruenta attraverso l’imitazione che nasce dall’osservazione e dallo studio e non dall’immedesimazione.

L’attore deve assolutamente uscire “provato” dalla scena, ma questo per l’impegno fisico e non per quello emotivo. Nella vita di tutti i giorni si cerca di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo; in teatro è esattamente l’opposto: ogni gesto, ogni movimento, richiedono un altissimo dispendio di energie.

Una volta fuori dalla scena l’attore, per quanto stanco, deve sentirsi bene. Tutte le emozioni, tutta la tristezza, tutto il dolore o la gioia del personaggio, devono restare lì dove hanno vissuto: sulle tavole del palcoscenico.

Lo stesso vale per lo spettatore che, come diceva Rousseau, lascia i suoi vizi all’entrata e li riprende all’uscita della sala.

Il teatro è il frutto di una convenzione tra chi recita da una parte e chi comprende e interpreta dall’altra. Dalla scena arriva il senso, nella sala se ne coglie il significato. Un gioco antico che non finirà mai di stupirci.