Gli artisti di Silent City: Ubah Cristina Ali Farah

Continua il nostro approfondimento sugli artisti che stanno prendendo parte a Silent City, il nostro progetto per la costruzione di un ‘Opera collettiva che andrà in scena per il programma ufficiale di Matera 2019, Capitale Europea della Cultura. Oggi vi presentiamola nostra librettista, colei che tradurrà in versi la storia della nostra Opera:  Ubah Cristina Ali Farah, scrittrice e poetessa di padre somalo e madre italiana.  Il suo romanzo Madre piccola (2007) ha ricevuto il prestigioso Premio Vittorini.  Noi l‘abbiamo già incontrata durante la prima fase del progetto di Silent City , assieme ad Andrea Ciommiento, dove ha partecipato ai laboratori di drammaturgia.  Tornerà a Matera a maggio per proseguire il suo lavoro assieme a noi e a tutti gli artisti e i partner del progetto  Ma non vogliamo raccontarvi di più adesso…scoprite chi è la nostra artista dalla sua bellissima  intervista:

1) Cosa sognavi di fare da bambina e dove immaginavi avresti vissuto?

Sognavo di fare l’astronauta. Ero una sognatrice ed esplorare la luna e le stelle deve essermi sembrata la più grande delle avventure. Forse immaginavo di vivere in Italia. Capitava che trascorressimo qualche estate a Verona, dove viveva la famiglia di mia madre. A Mogadiscio all’epoca noi bambini vivevamo molto naturalmente, sulla spiaggia si raccoglievano conchiglie e spugne di mare e costruivamo i nostri giochi con quello che trovavamo, stracci e semi, barattoli e pneumatici. Quindi immagino che l’Italia mi apparisse come un vero e proprio paese di balocchi al tempo, un paese dove potevi acquistare bambole perfette, abbuffarti di gelato e guardare i cartoni animati.

2) Cosa fai oggi e dove vivi oggi?

Oggi vivo a Bruxelles, ma spesso ritorno in Italia, particolarmente a Roma dove sono nati due dei miei figli. Scrivo e racconto storie che mi sono a loro volta narrate. Credo sia iniziato tutto dopo la guerra, quando sono stata costretta a lasciare la Somalia. Era importante, in quel momento, cercare di ricostruire un mondo distrutto dalla violenza proprio attraverso il racconto. Intrecciando le voci, le testimonianze di chi aveva vissuto come me quella esperienza, condividendole con le persone che ci circondavano e che, di quella storia, non avevano che i brutali resoconti dei telegiornali. E invece, era proprio celebrare la vita e la bellezza e l’amore la cosa più importante.

3) Proviamo a far immaginare quest’Opera che ancora non esiste…

Le storie sono universali perché parlano dell’umanità alla quale tutti noi apparteniamo, indipendentemente dal credo religioso, dalla cultura, dalla  provenienza. Eppure le storie sono anche irripetibili, in virtù spesso di dettagli a prima vista irrilevanti che però hanno la forza di suscitare compassione, nel senso più ampio di identificazione e meraviglia. Non so ancora che forma prenderà quest’Opera, ma credo che la sua forza risiederà  nell’immaginario collettivo a cui attingeremo come ad un pozzo inesauribile di storie.

4) Se diciamo Opera cosa ti viene in mente?

Mi viene in mente l’Arena di Verona dove ho visto molte opere classiche, l’Aida, Madama Butterfly, il Rigoletto, il Don Giovanni, ma anche lo spettacolare Flauto Magico e la Carmen secondo l’Orchestra di Piazza Vittorio.E mi viene in mente il teatro popolare somalo che con tanta passione frequentavo da ragazza. Mentre si prestava poca attenzione alle battute che gli attori potevano improvvisare, le scene principali venivano cantate e le parole delle canzoni erano talmente apprezzate e interiorizzate dal pubblico che non è raro ancora oggi trovare chi se le ricordi a memoria.   

5) E se diciamo Silenzio?

Silenzio suscita in me sentimenti molto contrastanti. Da una parte penso all’ambiente in cui sono cresciuta, di comunità e famiglia allargata. Quando si è in molti nello stesso luogo, bisogna imparare a rispettare il silenzio, lo spazio circostante, imparare a dare un peso alle parole che pronunciamo ed ascoltiamo. Dunque silenzio per me è restare in ascolto. D’altra parte mi ricorda i giorni della guerra, in cui odiavamo il silenzio perché carico di attesa e di paura, nel silenzio facevamo fatica ad orientarci.

6) E se diciamo Città?

Città per me è il luogo degli incontri e degli scambi, la città è dove i nostri sogni prendono corpo, nella topografia della città possiamo ritrovare la mappa dei desideri di chi ci ha preceduto e di chi verrà dopo di noi.

7) Sarai uno degli artisti che guiderà le comunità in questo lungo processo di creazione collettiva di un’Opera lirica. Usiamo e useremo spesso queste espressioni: arte partecipata, arte di comunità, cosa significano per te?

In generale, penso all’artista non come a un individuo isolato che riflette e produce nella solitudine della sua stanza, ma come a un recipiente vivo, un canale che recepisce e restituisce gli stimoli della comunità che lo circonda. Perché ci sia arte partecipata, è necessario che l’artista si spogli di tutto ciò che crede di sapere, che guidi e si faccia guidare con umiltà.

8 ) Quando, secondo te, l’arte riesce  davvero a cambiare le cose?

L’arte cambia le cose quando riesce a rendere universale una storia locale, quando riesce, facendo appello ai sentimenti, a mostrare la complessità dell’essere umano. L’arte non deve offrire risposte, ma spingere chi ne fruisce a porsi delle domande, a non dare nulla per scontato, a non credere in un’unica assoluta verità. Il dubbio e non la certezza sono infatti l’unico vero antidoto contro la tirannia, in sintesi, la nostra più autentica forma di resistenza.