Una casa chiamata Teatro | Diario di una maestra

Sono arrivata all’Albero che avevo 8 anni. E da allora sono ancora qui, prima come allieva poi come assistente ai corsi. Anche se ora studio Economia all’Università e progetto il mio futuro, non riesco proprio a fare a meno di questa scuola che è anche un po’ casa e che si chiama ‘teatro’.
E così, dopo 14 anni di vita attorcigliati attorno ai suoi rami, oggi gli allievi-nani e gli allievi-folletti (alias bambini a adolescenti) mi chiamano maestra, senza sapere che mi sento vicina a loro più di quanto possano immaginare.
Perché mi riconosco continuamente nei miei allievi! Rivedo me bambina e rivedo me adolescente, con quel mondo interiore che era tutto un subbuglio di emozioni.
E succede soprattutto con alcuni di loro. Come con Savio, ad esempio. Anche lui, come me, ha iniziato a frequentare la nostra scuola che aveva soltanto 8 anni. Il suo 1° anno non ero ancora la sua maestra, ma lo ricordo perfettamente nei panni di uno scenografo sognatore e un po’ sfortunato che percorreva la scena canticchiando “Per fare un albero, ci vuole un albero”. Sì, diceva proprio così!
Poi l’anno successivo divenne allievo mio e della maestra Alessandra. Era un bambino fantasioso e sempre pronto a tuffarsi negli esercizi ed in particolare nelle improvvisazioni.
Ora Savio ne ha quasi 13 di anni. Quando a Ottobre è ritornato a teatro, noi maestre abbiamo esclamato: “Savio è un ragazzo!”.
Ma non è solo un fatto di altezza o della voce che cambia. E’ un fatto di occhi. Ora provo a spiegare in che senso.
Lunedì scorso i ragazzi dovevano fare un esercizio apparentemente semplice. Nel proporlo agli allievi abbiamo esordito così: “Vi faremo una violenza. Ma voi dovrete resistere! (sguardi terrorizzati!) L’esercizio consiste in questo: dovrete guardare negli occhi un vostro compagno per due minuti. Nient’altro. Dovrete solo guardarvi. Senza ridere, senza dirvi niente”.
Solo che essendo dispari, io ho dovuto fare l’esercizio con uno di loro e del tutto causalmente mi è capitato Savio. E così l’ho guardato. E lui ha guardato me. Certo, all’inizio c’è stato un po’ di imbarazzo da parte di entrambi, ma poi è passato e ci siamo guardati davvero. E’ stato così che nei suoi occhi ho rivisto me e tutti i miei compagnia che in più di 10 anni di scuola mi hanno accompagnato. E ho rivisto l’età dell’adolescenza, dove ci si sente grandi senza esserlo fino in fondo perché si è un po’ insicuri e spesso ci sente inadeguati o non importanti. Però c’è una cosa ancor più bella che ho visto in quegli occhi: la parte bambina di Savio, quella che – nonostante la timidezza e l’insicurezza dell’adolescenza – ha voglia di aprirsi agli altri e al mondo e per farlo si affida alla scena.
Ecco perché per Savio sogno quello che ho vissuto io: crescere a Pane & Teatro!


Per informazioni sui corsi di teatro de
La Scuola sull’Albero: +39 349.82.43.232