È lunedì e la lezione di teatro sta giungendo al termine. Manca l’ultimo esercizio.

Solitamente la parte finale dell’attività è dedicata alle improvvisazioni.
C’è sempre grande entusiasmo da parte dei bambini in questa fase. Le improvvisazioni lasciano molto spazio all’inventiva.
I piccoli attori si cimentano in situazioni non predeterminate dove la rapidità nel prendere decisioni e nell’adattarsi a situazioni impreviste diventa fondamentale.

L’esercizio di oggi però è un po’ diverso da quelli a cui i bambini di questo gruppo sono abituati. L’obiettivo di questo anno è alzare l’asticella e rendere le improvvisazioni sempre più complesse.
Quest’anno nulla sarà deciso prima di andare in scena davanti al resto del gruppo che farà da pubblico. L’unica cosa a essere decisa e comunicata nel momento stesso in cui gli attori sono in scena è la situazione in cui essi si trovano e la relazione che i vari personaggi hanno tra di loro, senza però decidere prima chi sarà chi e chi farà cosa.
Tutto sarà deciso in modo estemporaneo.

I bambini mi guardano stupiti, sono eccitati e allo stesso tempo intimoriti.
Dico loro che è arrivato il momento di sperimentare improvvisazioni nuove e che non c’è motivo di preoccuparsi, impareremo insieme e pian piano.

Le improvvisazioni hanno inizio. L’entusiasmo prende il sopravvento. Le improvvisazioni non sono ancora precise ma c’è grande curiosità e divertimento.
A un certo punto Roberto (nome inventato) che stava dalla parte del “pubblico” si alza in piedi e dice “io non voglio fare questo esercizio perché non so farlo”. Io replico dicendo a tutto il gruppo che è normale non conoscere ancora ciò che non si è mai fatto e invito il bambino a prendere parte all’esercizio. Il bambino va in scena insieme ad altri compagni, vengono decise al momento situazione e relazione.

L’improvvisazione è iniziata quando ad un certo punto vedo gli occhi di Roberto riempirsi di lacrime. Senza interrompere i compagni con un cenno della mano lo chiamo a me. La sua testa è bassa e le sue spalle sono chiuse. Si avvicina e mi dice a bassa voce “non lo so fare” e scoppia in lacrime. Allora lo invito a sedersi per un attimo sulle mie gambe. Senza pensarci troppo gli dico all’orecchio “non preoccuparti, è normale esser spaventati da cose nuove.” Lui continua dicendomi ancora “ma io non lo so proprio fare”. Rispondo “come fai a saperlo se prima non ci provi”. Sento una gran tenerezza e vorrei tranquillizzarlo ma decido di rimanere in silenzio per un po’ continuando a tenerlo seduto sulle mie gambe. Le improvvisazioni vanno avanti, la lezione è giunta al termine. Dobbiamo salutarci. Saluto Roberto e gli dico “facciamo un patto, la prossima volta provi a fare questo esercizio e poi mi dirai se è davvero impossibile farlo per te”. Annuisce con la testa.

Arriva il lunedì successivo e arriva nuovamente il momento delle improvvisazioni. Guardo Roberto. E’ pensieroso. Spero proprio che questa volta ci provi. Le improvvisazioni cominciano e Roberto non si tira indietro. All’inizio è un po’ teso ma poi inizia a seguire i compagni e un grande sorriso gli si stampa sulla faccia. Sorrido anche io.

La lezione finisce e Roberto mi saluta con il sorriso a 42 denti ancora stampato sulla faccia. Non c’è stato bisogno di parole. Proprio così. Non sempre a teatro c’è bisogno di parole.

Roberto va via con le spalle dritte, parlando con i suoi compagni felice di quello che insieme sono riusciti a costruire sulla scena. Chiudo la porta e spengo la luce.

Ci diamo appuntamento al prossimo lunedì.