Una vera tentazione per noi adulti quella di aggettivare con bravo-brava i bambini ogni qual volta fanno qualcosa che soddisfa le nostre aspettative o raggiungono un obiettivo prefissato.

Quante volte, come educatrice teatrale e non solo, mi sono ritrovata con quella parola tra i denti a mordermi la lingua perché quel “bravo” o “brava” è uscito fuori dalla mia bocca in modo automatico, senza troppo pensarci, come se fosse il giusto premio per gratificare i bambini impegnati nella riuscita di qualcosa. E altrettante volte mi sono ritrovata insieme ai miei colleghi a parlare di quanto spesso usiamo questi aggettivi e di quanto essi, invece, dovrebbero essere sostituiti con altro.

Noi adulti lo facciamo in modo innocente, lo so, non voglio innescare una lotta contro le parole ma su di esse vorrei porre una lente di ingrandimento e per farlo vi racconto cosa è successo in una delle mie ultime lezioni di teatro.

Una bimba, a cui darò il nome di fantasia Claudia, durante una lezione di laboratorio era stata invitata da me a migliorare il suo movimento un paio di volte per un esercizio di espressione corporea. Di solito Claudia è molto attenta per cui sono poche le volte in cui la “correggo” ( ecco un altro termine “scolastico” che non mi piace usare e che preferisco sostituire con la locuzione “essere più precisi” o “riprova a farlo così o cosà”) e sono molte le volte invece in cui, ahimè, le viene detto “brava”; ma questa volta non se l’è sentito dire. Insomma, per farla breve, al termine di questa lezione Claudia mi si avvicina con i suoi occhioni grandi e neri e mi chiede “ma sono stata brava anche oggi?”.

Se avessi potuto fermare la mia espressione del momento in una vignetta la mia faccia sarebbe stata affiancata da una gocciolina azzurra sulla testa, sigh!! Ecco, ho pensato, è tutta colpa di quei bravo-brava che non riesco a controllare. Davvero, mi impegno, li ho ridotti al minimo ma qualcuno sembra vivere di vita propria e zac! spunta fuori dalle mie labbra. È una abitudine difficile da sradicare del tutto.
Guardo Claudia e le dico “certo, sei sempre brava, non dipende da quello che fai”. Lei mi sorride, mi dà un bacio e va via. Per questa volta mi sono salvata in calcio d’angolo ma…d’ora in poi farò ancora più attenzione alle parole che uso con i bambini e cercherò di far sparire dal mio vocabolario i tanto affezionati “bravo-a” e li sostituirò sempre con “bene”, “molto bene”, “sono felice di come ti sei impegnato in questa cosa”, “puoi essere orgoglioso del tuo impegno”, “che bello, ce l’abbiamo fatta”! e ..niente, devo ancora affinare e sperimentare il mio nuovo vocabolario.

Si, bravo e brava sono aggettivi che qualificano la persona e che fanno identificare la persona stessa con l’azione o le azioni che essa compie, innescando confusione tra essere e fare. Quando non viene detto loro brava o bravo, quindi sono stati cattivi? E soprattutto sono stati bravi per chi? Per noi adulti? Quindi l’impegno, il raggiungimento degli obiettivi potrebbe rischiare di trasformarsi in una risposta alle aspettative altrui invece che essere un piacere personale del bambino? La paura di non essere bravo potrebbe identificarsi con la paura di non essere amato? Avere una idea di sé troppo elevata può innescare la paura di fallire??

Bene, per evitare questi rischi, da oggi in poi mi staccherò la lingua a morsi ogni volta che avrò la tentazione di lodare una azione con quella parola lì, che è inutile ripetere, e aprirò la mia mente e il mio cuore per trovare parole nuove con cui esprimere il mio entusiasmo e la mia gioia nel vedere i bambini impegnati in quello che fanno e porrò ancora più attenzione nel sottolineare che è più importante impegnarsi per raggiungere un obiettivo che raggiungere l’obiettivo stesso.
Ora io cercherò di impegnarmi a fondo per raggiungere il mio di obiettivo: avere un vocabolario libero da giudizi!