Diario di un autore: Raffaele Flore

Dicono che scrivere serva a colmare un vuoto, a riempire degli spazi. Sono pienamente in disaccordo: in realtà, forse, scrivere aiuta più che altro a (ri)mettere qualcosa in ordine e a farne, di spazio.

Come quando si rimette a posto una cameretta in disordine, o si sparecchiano i resti della cena in cucina: con pazienza e metodo si separano le cose per tipologia, si distribuisce il mondo su scaffali diversi, si impilano di nuovo i piatti uno sull’altro, si mettono in fila e a capo le stoviglie. Scrivere è fare spazio e fare spazio è creare quello che già c’è, solo facendolo sembrare nuovo. Non si inventa nulla, non ce n’è bisogno: si cambia solo l’ordine di lettura di un ambiente, si divide in capitoli una porzione di mondo.

La genesi di un copione, specialmente quando è un esercizio condiviso e nasce dal basso, anziché per imposizione calata dall’alto dal LautoRe, è un modo di rimettere in ordine quanto c’era già, aiutando semplicemente qualcun altro a vedere spazi laddove prima c’erano giusto le parole della sera prima o un cumulo di idee ripiegate male sul letto. Dai forma al vuoto, scoprendo che tutto ciò di cui avevi bisogno era in realtà attorno a te: il copione c’era da prima, era negli intervalli tra un attore e l’altro, negli angoletti morti tra una pausa delle prove e l’altra, nella battuta buttata là prima di tornare seri.

Nell’ultima lezione del Corso di Teatro per adulti, il testo dello spettacolo è nato, anzi no, è apparso così, dopo essere stato nascosto in quel disordine organizzato dei “brainstorming” creativi a volte fini a se stessi: poi metti ordine, senza dare ordini agli allievi, e ognuno ripone sullo scaffale la sua idea, aggiunge la sua proposta a quella dell’altro, oppure vede che quelle stanno così bene assieme che decide di creare uno scompartimento apposta per loro e separarle dal resto delle altre. E così via. Non hai bisogno di aggiungere niente di tuo, nulla di ciò che ti eri preparato, scoprendo che il lavoro inizia dopo: non riempire mobiletti che ti eri progettato in testa da prima e che ti sei portato già montati alle prove, ma costruire il testo attorno a quegli spazi immaginari dove gli allievi/attori riponevano le loro idee.

E per chi scrive è la medesima cosa: la testa era già in testo (o, semplificando, il testo era già in testa), ma serviva qualcuno che te lo facesse notare, che facesse scattare quel clic! che altrimenti non sarebbe mai scattato. È sempre la solita storia: vedi l’altro, e solo allora trovi te. E, quando a fine lezione vai via, e il testo intanto ti si comincia a scrivere davanti agli occhi, si appanna in sovrimpressione sul parabrezza dell’auto, appare e scompare tipo notifica sul display del cellulare, un po’ ovunque insomma, ecco che non vedi l’ora che lo spettacolo sia pronto e venga subito provato. E non ti accorgi che le prove le hai viste già dieci minuti prima, solo che non lo sapevi ancora.

Sette personaggi in cerca di un autore in cerca di una storia in cerca di più spazio in cerca di…